“BEATRICE CENCI” (Roma, 12 febbraio 1577 - 11 settembre 1599)
 


Beatrice Cenci (Roma, 12 febbraio 1577 - 11 settembre 1599) fu una nobildonna romana, giustiziata per parricidio e poi assurta al ruolo di eroina popolare.
Sesta figlia del conte Francesco Cenci, uomo violento e dissoluto, e di Ersilia Santacroce, dopo la morte della madre, a sette anni, fu messa in un monastero di suore francescane insieme con la sorella Antonina. Ritornata a 15 anni in famiglia vi trovò un ambiente quanto mai difficile e fu costretta a subire le violenze e gli abusi del padre che, nel frattempo, aveva sposato, in seconde nozze, la vedova Lucrezia Petroni.
Francesco, oberato dai debiti, più volte incarcerato e processato per delitti anche infamanti, pur di non pagare la dote di Beatrice, volle impedirle di sposarsi, e decise nel 1595 di segregarla, insieme con la matrigna Lucrezia, a Petrella Salto, in un piccolo castello di proprietà della famiglia Colonna, chiamato la Rocca. In quella forzata prigionia crebbe il risentimento di Beatrice verso il padre.
Nel 1597 Francesco, malato di rogna e di gotta, anche per fuggire alle richieste pressanti dei creditori, si ritirò a Petrella e le condizioni di vita delle due donne divennero ancora peggiori.
Esasperata dalle angherie e dagli abusi paterni, Beatrice giunse alla decisione di organizzarne l'omicidio in concorso con la matrigna Lucrezia, i fratelli Giacomo e Bernardo, il castellano Olimpio Calvetti e il maniscalco Marzio da Fioran detto il Catalano.
Per due volte il tentativo fallì: la prima volta si cercò di sopprimerlo con il veleno, la seconda con una imboscata. La terza fu assalito nel sonno: gli spezzarono le gambe e lo finirono colpendolo al cranio ed al petto. Per nascondere il delitto tentarono di simulare una morte accidentale. Fu aperto un foro nelle assi marce del ballatoio tentando di infilarci il cadavere. La cosa non riuscì: il foro era troppo piccolo. Decisero allora di gettarlo dalla balaustra.




















Il 9 settembre 1598, il corpo di Francesco fu trovato ai piedi della Rocca di Petrella. Dopo le prime due inchieste, la prima voluta dal feudatario il duca Marzio Colonna, la seconda ordinata dal vicerè del Regno di Napoli Don Enrico di Gusman, conte di Olivares, lo stesso pontefice Clemente VIII volle intervenire nella vicenda.
I congiurati vennero scoperti e catturati.
Calvetti fu ucciso, per impedirne la testimonianza, Marzio da Fioran, sottoposto a tortura, confessò per poi morire poco dopo. I due fratelli Bernardo e Giacomo furono rinchiusi nel carcere di Tordinona,Beatrice e Lucrezia in quello di Corte Savella
Il processo fu affidato al giudice Ulisse Moscato ed ebbe un grande seguito pubblico. Nel dibattito si affrontarono due tra i più grandi avvocati dell'epoca: l'alatrese Pompeo Molella per l'accusa ed il difensore Prospero Farinacci. Alla fine prevalse il primo e gli imputati superstiti vennero condannati a morte: Beatrice ed Olimpia alla decapitazione, Giacomo allo squartamento.
Bernardo, il fratello minore di soli quindici anni, fu anch'esso condannato ma, per la sua giovane età, ebbe risparmiata la vita: fu condannato ai remi perpetui, cioè a remare per tutta la vita sulle galere pontifice e con l'obbligo di assistere all'esecuzione dei congiunti. Inoltre, la notizia della commutazione della pena gli fu deliberatamente nascosta e comunicata solo poco prima della scampata esecuzione. Solo alcuni anni più tardi, dopo il pagamento di una grossa somma di denaro, fu liberato.
L'esecuzione di Beatrice, della matrigna e del fratello avvenne l'11 settembre 1599 nella piazza di Castel Sant'Angelo gremita di folla. La giornata molto afosa e la calca provocarono la morte di alcuni spettatori. La decapitazione delle due donne avvenne con la spada. La prima ad essere uccisa fu Lucrezia, seguì poi Beatrice ed infine Giacomo: seviziato durante il tragitto, mazzolato e poi squartato.
Il corpo della giovane, come lei stessa aveva richiesto prima di morire, fu sepolto in un loculo davanti l'altare maggiore di San Pietro in Montorio, senza alcuna lapide che ne ricordi il nome.


Nel luogo in cui Beatrice fu decapitata, è invalsa la credenza di vederne la figura aleggiare nella notte dell'anniversario dell'esecuzione.
Le vicende della famiglia Cenci, e di Beatrice in particolare, non potevano non suscitare curiosità, sentimenti di partecipazione sincera e commozione, ma anche interesse morboso, sia tra gli strati popolari sia tra gli artisti. Gli ingredienti c'erano tutti: la bellezza e giovinezza di Beatrice, il cupo ambiente familiare, le passioni torbide del padre, l'incesto, la vendetta dei fratelli, l'espiazione ed il supplizio finale.
Per tale ragione, gli artisti delle arti figurative come di quelle letterarie, particolarmente in epoca romantica, trovarono numerosi elementi di ispirazione per le loro opere. Tra quelle letterarie possiamo citare:
The Cenci, tragedia di Percy Bysshe Shelley, scritta e conclusa a Roma nel maggio 1819
Les Cenci, racconto di Stendhal, inserito nelle Chroniques Italiennes, 1829
Beatrice Cenci, racconto di Francesco Domenico Guerrazzi, 1854.
Les crimes celebres: Les Borgia; La marquise de Ganges; Les Cenci, di Alexandre Dumas (padre), 1856



Nel Novecento é l'arte cinematografica, arte popolare per eccellenza, ad interessarsi della figura di Beatrice con numerose trasposizioni cinematografiche:
Beatrice Cenci, di Mario Caserini (1909)
Beatrice Cenci, di Ugo Falena (1910)
Beatrice Cenci, di Baldassarre Negroni (1913)
Beatrice Cenci, di Baldassarre Negroni (1926)
Beatrice Cenci, di Guido Brignone (1941)
Beatrice Cenci, di Riccardo Freda (1956)
Beatrice Cenci, di Lucio Fulci (1969)





Un commento che condivido, preso da internet:
Quella maledetta mattina dell’11 settembre 1599, la folla delle grandi occasioni si era riunita nella Piazza di Castel Sant’Angelo per assistete alla decapitazione di Beatrice Cenci, della di lei madre Lucrezia, e allo squartamento del fratello Giacomo, condananti da Papa Clemente VIII (per ulteriori dettagli storici correte dal mio amico Rino).
Fra gli attoniti spettatori di quella mattanza, anche il Caravaggio e la piccolissima Artemisia Gentileschi.
Che, all’epoca, aveva solo sei anni…
Se c’è un quadro che mi turba e inquieta è proprio il suo Giuditta e Oloferne: ho sempre pensato che la pittrice, nel dipingere il volto agonizzante di Oloferne, nel ricamare quei fiotti di sangue, non potesse che tentar di sedare l’urlo straziante che Beatrice lanciò all’avvicinarsi del boia, e che da allora le echeggiava nottetempo nelle orecchie…Sarà una fantasia mia, non so: resta il fatto che il tristissimo caso di Beatrice ha ispirato la fantasia di moltissimi artisti, popolari e non: Stendhal, Percy Shelley, Alexandre Dumas hanno riesumato questo oscuro caso nelle lorobeatricenc69-01 pagine, al pari di un Antonin Artaud che si è ispirato ad esso in uno dei più affilati ed implacabili esempi di Teatro della Crudeltà…Il cinema non poteva di certo arretrare dinanzi ad una capitolo così fosco della storia Rinascimentale: Guido Brignone, già nel 1941 ne trasse un film di cui si è persa memoria.
Lo seguì, nel 1956, il grande Riccardo Freda, che ispirandosi alle pagine di Francesco Domenico Guerrazzi (raro esempio di “Gotico” all’italiana), forgiò un sontuoso melodramma, d’austera bellezza.
Il mio amatissimo Fulci, nel 1969, anche per scrollarsi di dosso la nomea di regista di “Ciccio e Franco”, realizzò un suo Beatrice Cenci.
Un film che non fece una lira (“alla prima mi volevano linciare”, mi confessò una volta) ma che egli amava di un amore sincero ed appassionato.
Recuperate questo film (è recentemente uscito in dvd in Francia) e vedrete come si possa fare un film storico, senza la laccata grandeur, tipica di questo cinema.
Il Cinquecento messo in scena da Fulci è una fossa dei serpenti in cui la sporcizia dei corpi (tutti i personaggi del film grondano sudore e polvere dagli ampi colletti e dalle papaline stinte) sottende ben altre sozzure…Ripeto: recuperate ques’opera atrocemente moderna, ignorata in patria, ed apprezzata all’estero da personaggi come Bertand Tavernier che se ne ricorderà per il suo Quarto comandamento (1987), altra dolorissima variazione sul tema del Calvario della povera, bellissima, Beatrice…